Gillo Dorfles (born 12 April 1910), notorious italian art critic, painter and philosopher.
From the catalog of the exhibition at the Galleria La Cavana, Trieste, 1963
… And, not surprisingly, I mentioned a certain “vegetality” and “metallicity” with regards to these graphic and pictorial images, for one of the characteristics of this art is precisely its metamorphic character of continuous transformation, a continuous reworking of the same material having, in itself, something embryonic andorganic to it.
What differentiates Volpini both from the rigorous but somewhat frigid graphic style of some artists (like, for example, Hartung) and the congestion and opulence of others (eg. Mathieu), is his rejection of any element of imprecision and uncertainty on one hand and, on the other hand, his will to formulate – through the line of his seemingly abstract design – a precise figurative element, which obviously is not natural, realistic or surrealistic as many “false abstract” today, but is nevertheless a well-formulated and configured element, able to be read and lived as an autonomous Gestalt.
For this reason you cannot call his works “informal” or “tachist”, not even “material or sign painting”. Its subject matter is precisely that “antimatter”, the use of pure color and sharp, often achromatic, constituting a neutral surface as much as a thickness in its own right. Its sign is itself a sign pointing to a structure. Therefore, it is intended as a bearer of a message and not as chaotic biokinetic impulse (ie. as mere gesture due to a knee-jerk muscle reaction). …
English translation in process…
Giorgio Kaisserlian è stato un critico d’arte italiano di origine armena che aderì al moviemento spazialista fondato dà Lucio Fontana.
Dal catalogo della mostra alla Galleria Il Canale, Venezia, 1961
… Vi è in primo luogo l’invenzione di un grafismo lineare, estroso e raffinato, che non si accartoccia nelle solite cifre post wolsiane come oggi purtroppo molti indulgono a fare, ma persegue solo un suo ritmico innestarsi nella composizione ed un suo scandire deciso le forme presentate; vi è poi l’invenzione di stesure piene, che sembrano respirare largamente e prendono possesso della tela come dei personaggi alla ribalta;
vi è infine l’invenzione di massa cromatiche le quali entrano di soppiatto come una musica dapprima inavvertita e bruscamente insistente nell’intreccio delle strutture ed esse recano con se’ il brivido di presenza inattese.
Volpini regge questo sviluppo di tensioni con la sua ostinata volonta’ operativa e sa trovare in esso una serenita’ che è figlia di un dissidio superato. Come non individuare infatti nella trama di queste composizioni, tenute tutte sui bianchi, sui grigi e sui bruni, la presenza di una vita cittadina con i suoi incubi i suoi drammi quotidiani soffocati e nascosti, e la sue ansie chiuse? Questi drammi freddi e taciuti sono elevati alla forma visiva, staccati dalle occasionalita’ in cui essi ci appaiono, proposti come pura situazione esistenziale.
E qui sta la fermezza dell’impegno di Volpini. La sua estrema perizia espressiva, testimoniata dalle sue incisioni tecnicamente singolari, per efficacia di resa, trova cosi’ nei suoi dipinti una piena espansione.
E dobbiamo pur osservare che nella giovane pittura italiana di ricerca, vicino a coloro che insistono a crogiolarsi in sterili esercizi introversi, Renato Volpini spicca per la decisione del suo impegno e la piena evidenza del suo mondo poetico.
Marco Valsecchi da “Il Giorno” , 1962
Renato Volpini è un giovane urbinate, che a Milano, pochi anni fa, ebbe un bel successo con una esposione di incisioni alla galleria Spotorno. L’evoluzione compiuta nel frattempo lo ha portato lentamente ad affrontare anche la pittura, del resto intravista gia’ nelle sue incisioni e litografie colorate o rese piu’ espressive col ricorso a diverse tecniche complesse, a mezzi anche eterogenei ma significanti come il “collage”.
….Apparentemente la sua pittura ha ha aspetti astrattisti. Ma brulica invece di figure e allusioni reali con un gusto particolare per le trasfigurazioni liriche, che sfiorano il simbolismo surrealista. Particolarmente interessante è la capacita’ del giovane pittore di frenare quel fermentare fantasioso con una pittura e una grafica lucida e netta, diradata in larghe superfici di colore quasi neutro. C’è un fervore mentale che risponde ani-mosamente colle immagini suggerite da una sensibilita’ quasi morbosa; e questa dialettica, rischiosa e delicata insieme, è la ragione principale dell’interesse che incontra il giovane Volpini.
Gillo Dorfles dal catalogo della mostra alla Galleria La Cavana, Trieste, 1963
….E, non a caso, ho accennato ad una <<vegetalita’>> ed a una << metallicita’>> a proposito di codeste immagini grafico-pittoriche; giacche’ una delle caratteristiche di quest’arte è appunto il sui carattere metamorfico, di continua trasformazione, e di continua rielaborazione d’uno stesso materiale immaginificocce ha in’ sè alcunché di embrionario e di organico.
Quello che differenzia Volpini , tanto dal rigoroso ma un po’ frigido grafismo di alcuni artisti (come ad es. un Hartung), quanto da quello congestionato e succulento di altri (come ad es. un Mathieu) è il suo rifiuto d’ogni elemento d’imprecisione e di indeterminatezza e d’altro canto la sua volonta’ di giungere – attraverso la linea apparentemente astratta del suo disegno – alla formulazione di un preciso elemento figurale; che non è ovviamente quello naturalistico, realistico o surrealistico di tanti <> odierni, ma che è tuttavia un elemento ben formulato e configurato, capace di essere letto e vissuto come un’autonoma creazione gestaltica.
Per questa ragione non è possibile parlare, a proposito di questa opere, di <>, o di <>, neppure di <>. La sua materia è proprio quell’<> che è data dall’uso del colore puro e netto, spesso acromatico, valevole piuttosto come superficie neutra corrente che come spessore a se’ stante; e il suo segno è esso pure, un segno rivolto ad una strutturazione; inteso, dunque, come
portatore d’un messaggio, e non come caotico impulso miocinetico (ossia come mero gesto dovuto ad una istintiva carica muscolare). …
Guido Ballo è stato un scrittore, poeta e critico d’arte italiana.
Dal catalogo della mostra alla Galleria del Cavallino, Venezia, 1966
….L’esigenza del racconto esiste: senza risolversi in fumetto, come avviene ad altri pittori dopo l’esempio della pop-art americana, sembra ricollegarsi in modo nuovo a certe proposte metafisiche della nostra civilta’.
L’oggetto – che nel tema di questa mostra è una macchina semplice, quasi un grande giocattolo nel momento di spezzarsi – crea nello spazio a due dimensioni ( in cio’ differisce dalla metafisica tradizionale, che amava l’illusione prospettica) nuovi ritmi, nuove analogie di richiami, diventando oggetto assoluto, emblematico; ingrandendo, ma in rapporti lineari definiti, dove a volte il contrappunto del fondo accentua il movimento compositivo. E’ un linguaggio che si ricollega alla metafisica ma anche al costruttivismo, e risponde alla particolare indole di Volpini; il quale ama la modulazione, il colore pulito, netto e tuttavia sottile, il discorso chiaro, e quindi l’espressione distaccata, i valori di una spazialita’ dove i rapporti siano sentiti come necessita’ interna di richiami; ama le immagini che diano il senso del provvisorio, dell’accidentale – com’è la nostra vita di ogni giorno – ma portate all’assoluto dei rapporti ritmici delle piu’ alte tradizioni italiane, da tempo dimenticate. Per questo il suo linguaggio, oggi, appare nuovo e singolare: ricco di tensione interiore, come presenza attiva, proprio quando sembra piu’ dominato e rigoroso.
Luigi Serravalli dal catalogo alla mostra alla Galleria Leonardo, Bolzano, 1972
….Il grafismo di Volpini resta un impegno di sempre, sia che lo si rilevi nelle sue <> in quel disegno da ingegnere, come quel contorno nero che <> l’oggetto, sia che crei quelle sue radiografie senza alcuna profondita’ o dimensione in cui non sai se ammirare di piu’ il sottofondo freudiano, la punta di umorismo, o l’oscura minaccia. Le <
….I suoi <>, le sue macchine inutili, i suoi marchingegni, meccanismi, <> sono, nello stesso tempo ironiche, spaventose, sessuali, e paradossalmente impossibili. Il lavoro di Volpini è straordinariamente composito, ricco, variopinto ed inafferrabile. Quando Eco parla di <> penso, prima di tutto a Volpini, che offre al fruitore tutta la possibile varieta’ di partecipazioni, interpretazioni, soluzioni. Le macchinette di Volpini spesso fatte di antifecondativi gonfiati e combinatiinsieme kafkianamente come robot infantili ma sempre maligni, macchinette ridicole come i grandi razzi che portano gli uomini nella luna a scavare sassi e pietrame o i grandi missili balistici intercontinentali a testata multipla che, a quanto dicono sarebbero in grado di distruggere ad ogni colpo, grosse fette di umanita’, costituiscono delle trovate demistificatorie ad alto potenziale. E’ il buon senso, moresco, grasso, gioioso, ma carico di verita’ degli abitanti dell’Italia centrale che viene fuori a ridere smodatamente del trionfalismo moderno. Ma nella risata ci senti anche la paura, il brivido, quel terrore che generano le cose malignamente sconosciute. In questo senso Volpini è un grosso interprete del nostro tempo, un <> con il quale qualsiasi establishment dovra’ sempre fare i conti. ….
Roberto Sanesi da: “Renato Volpini, The Battle of Elements”, Edizioni Bora, Bologna 1984
…Nel considerare, a distanza, il percorso artistico di Renato Volpini molto grossolanamente ma utilmente ai potrebbe cominciare con l’individuarne tre fasi. Quella, iniziale, della dominante informale, indizio di una liberazione stilistica conseguente a uno sprofondamento di tipo neo-romantico nell’indifferenziazione delle pulsioni emotive ( col rischio, cme si sa,di un soggettivismo estremo,tale da contraddire apparentemente, se non da vanificare, il senso della liberta’ espressiva acquisita rispetto a un <> la cui presenza vorrebbe comunque essere mantenuta o perlomeno allusa). Quella, centrale,
profondamente toccata dall’irruzione della Pop, avviata a una riappropriazione dell’immagine esterna fino al tentativo di restituire l’immagine (immagine-simbolo, la sua riduzione a emblema con sottintesi sociologici, oppure sua <> con affinita’ di feticcio) in vero e proprio oggetto tangibile, e pero’ oggetto di se stesso in molti casi, fino a una denuncia di nuova crisi a causa del paradosso che si viene ad evidenziare: in quanto la pretesa di <<verita’ sulla societa’>> ricercata atrraverso l’esposizione dei suoi prodotti autentici (merce, tecnologia, ecc.) finisce quasi sempre col manifestarsi come irrazionalita’ della sua stessa costituzione razionale. Quando, per eccessodi mimesi, non si corra il rischio di lasciar percepire come soggetto <>(perché descritto) l’oggetto o l’immagine che si sarebbe invece voluto denunciare criticamente. Infine la terza fase iniziata da tempo, e che si potrebbe definire una somma assai articolata delle precedenti: nella quale l’oggetto torna ad essere immagine mobile, si animalizza o umanizza, si espone come meccanismo allucinato e spesso ironico, si avvia al <>, di nuovo liberato sui due versanti del desiderio di far apparire come fantasma l’immagine di un concetto di cui si diffida, e del far scomparire (proprio per sospetto nei suoi confronti) cio’ che invece la coscienza vorrebbe affermare. Ma si tratta, per Volpini, per una lettura non frammentaria della sua opera, di una distinzione di comodo. anche si in linea generale corretta. Perché in Volpini, come ho gia’ avuto occasione di scrivere, malgrado alcune zone di silenzio, non è poi tanto difficile rintracciare una continuita’ interna, una linea che passa
(magari a corrente alternata) anche attraverso le varianti piu’ vistose e apparentemente discordanti per giungere alle risoluzioni ultime con la stessa carica di invenzioni e di personalita’ che si riconosceva al pittore fin dalle prime prove. Una coerenza da non confondere né con la ripetizione dei moduli stilistici né con il cedimento, per eventuale stanchezza o furbizia, a qualche atteggiamento di moda. E si potrebbe dire che questa riconoscibilita’ spesso immediata del suo linguaggio resta ancorata ai suoi elementi espressivi iniziali in ogni momento del suo lavoro: alla corsivita’ di un segno (disegno) chiarissimo, netto, nel quale è presente la strenua, raffinata, sensibile esperienza graficadi chi si è misurato con pazienza pari all’abilita’ con le tecniche dell’incisione; alla limpidezza dei rapporti spaziali, di vera e propria dislocazione timbrica, fra i dati coloristici e quelli plastici; alla luminosa felicita’ ritmica di una << scrittura>> che non ha quasi mai ceduto a impasti angosciosi, a pittoricismi piu’ o meno <> o gestuali, nemmeno nelle piu’ complesse frammentazioni della fase informale. Non ammetter differenze sarebbe assurdo. Volpini si distingue, agli inizi degli anni Sessanta, per una liricita’ nervosa, che si manifesta per tratti, scavi, morsure, quasi segnali (forse perfino metafore) di fitti e intricati reticoli, dai quali cominciano tuttavia ad apparire personaggi (Brulichio di personaggi è un titolo ricorrente) non privi di gesticolazione ironica, ombre leggermente meccaniche, impronte lasciate da manichini di passaggio, per quanto questa larve filiformi siano piu’ volentieri abbandonate in un clima assorto e toccato dalla paura, da un tremore sottile. ….
Paolo Volponi da “Per Volpini”, presentazione alla mostra al Palazzo dei Diamanti, Ferrara, 1990
Una fitta intessuta frenesia di esseri e di segnali volanti invade ogni rotta celeste e spaziale.
Il brulicante sciame è partito dalla terra, quasi ciecamente fisso dentro una luce o un barbaglio che l’abbia sfiorato o acceso.
Ma dalla terra, anche se lontana e invisibile, non si stacca mai del tutto, recandone il battito, il polline screziato e la gravita’ di un’orbita impressa inesorabilmente dalla ragione della vita terrestre, che ormai da millenni è quella degli uomini. Tale è l’impressione che si riceve dalla rotazione delle immagini che gira questa mostra di Renato Volpini.
E ogni punto che si afferma tra le varie rincorse e congiunzioni, trapassa la macchinosita’ di certi congegni espressivi e scopre che l’energia che butta tutto in volo viene proprio da un contatto con quella ragione e piu’ ancora dalla volonta’ di assumerla come regola di conoscenza e di possesso.
Queste ali, ruote, elitre o carlinghe occupano una verita’ terrestre espansa quanto organica: dove i suoi elementi intrinseci e artificiali tendono a una nuova armonia continuamente, qualche volta da sembrare casuale ma sempre fervida.
È un modo questo culturale e pittorico di Volpini per assecondare e poi rivelare l’incontenibil e ansioso esplodere della materia del vero, il suo frantumarsi e rinnovarsi continuamente nella vita e nelle forme e quindi in altra verita’ ancora piu’ urgente e in diverse numerose costruzioni funzionanti e verificabili.
Mi pare cosi’ chiara la qualita’ mentale e logica di questa pittura di riuscire a spiegarsi e ad agire per comunicazione senza avere alcun bisogno di un prestito letterario o di un credito poetizzante.
Credo che il lavoro di Volpini riprenda con copiosa fertilita’ tutte le sue stagioni con il vigore iniziale dei primi anni ’60 quando concretamente si realizzo’ al vertice delle correnti di un rinnovamento totale piu’ancora che della pittura, della intelligenza stessa dell’artista, delle sue rgole, materie e produzioni.
Questa mostra ritrova il merto intatto di Volpini, la sua originale sfida alle tecniche tradizionali, delle quali era stato cosi’ bene istruito ad Urbino e all’insorgere dilagante pop.
Vibra ancora, ricollocando Volpini tra i giovani maestri dei quali la nostra cultura deve tener conto, la sua invenzione di un congegno pittorico proporzionato e rigoroso nelle tecniche e nelle misure, come avvincente nelle soluzioni formali e veloce nei centri strutturali.
Mimmo Rotella nota al catalogo della mostra al Palazzo dei Diamanti, Ferrara,1990
“I simboli cosmici di Volpini sono ormai entrati nella vita di oggi e del futuro”
Giorgio Marconi introduzione al “Libro d’Arte – Renato Volpini anni sessanta” Ed. Il Gatto e la Volpe, Milano 2007
I Volpini erano due: Renato e sua sorella.
Ho conosciuto Renato giovane artista, scuola di incisione, grafica di Urbino, nel 1958-59 e cominciai allora ad acquistare opere sue: su carta, incisioni piu’ o meno unche, disegni e tele.
Il mio sodalizio duro’ dieci anni circa, poi le strade si divisero. Renato si dedico’ all’imprenditoria piccolo industriale e contemporaneamente all’attivita’ artistica.
La sorella lavoro’ nella mia corniceria per alcuni anni con zelo ed entusiasmo poi un giorno partì per Urbino.
Renato dotato di qualita’ naturali per l’arte continuo’ sempre a fare l’artista ma a “part-time”. Aveva famiglia e la mercedes. Peccato, era piu’ dura la vita ma se avesse fatto solo l’artista …penso che ce l’avrebbe fatta.
Tant’è che, le sue opere oggi incominciano ad interessare collezionisti ed aste.
Da parte mia, ho affidato a Guido Peruz suo collezionista e mecenate le opere che avevo tenuto per quarantenni, perché piu’ giovane di me e piu’ innamorato del suo lavoro sperando potesse realizzare cio’ che io e Renato non siamo stati capaci di fare.
Proprio nei giorni scorsi è passato a trovarmi Hozu Yamamoto della Tokyo Gallery in Giappone. Suo padre nel 1962 di passaggio a Milano organizzo’ con me una mostra di Volpini a Tokyo.
Perché no, un’altra volta a Tokyo e così ricominciamo il tour ?
È il mio augurio per Renato e Guido.
Gillo Dorfles presentazione al “Libro d’Arte – Renato Volpini anni ’60 e oltre”, Ed. Il Gatto e la Volpe, Milano, 2007
Una interpretazione estremamente libera e autonoma della figurazione e della spazialita’ ha permesso da sempre a Renato Volpini di evitare l’incasellamento entro gli schemi dell’astrattismo o del naturalismo.
In altre parole la sua opera, cosi’ complessa e ormai estesa nel tempo, ha potuto resistere alle ambigue lusinghe delle svariate tendenze che si sono avvicendate nel territorio dell’arte visiva recente. Non solo, ma mentre l’avvento dell’”era elettronica” ha sconvolto, spesso in maniera deprecabile, molte delle ultime manifestazioni pittoriche, proprio nella convinzione che la computerizzazione potesse supplire all’assenza di creativita’, Volpini ha saputo valersi bensi’ dei nuovi media per ampliare le sue possibilita’ realizzative, ma senza lasciarsi prendere la mano dal nuovo mezzo. Anzi mi sembra tipico del suo operare il fatto di aver utilizzato le straordinarie possibilita’ compositive, cromatiche e trascrittive del computer e del plotter per metamorfosare i suoi lavori, recentissimi o recuperati dal passato, con quella preziosita’ di tipo artigianale che non puo’ mancare in un’opera artistica, anche nella nostra epoca di virtualita’ e di inganni.
Osservando con attenzione il suo lavoro possiamo constatare come l’artista urbinate non si sia allontanato da quello che,ormai da decenni, è divenuto il suo “alfabetario” preferito, ma abbia saputo piegarlo ai nuovi metodi pur mantenendo intatta l’atmosfera – tra metamorfica e lirica, tra giocosa e ibrida – che da sempre lo caratterizza.
Ritroviamo, così, in molte delle serie attuali, alcuni dei moduli e degli stilemi di quelle precedenti: elementi presi a prestito dalla meccanizzazione, rivisitazioni di pseudofigure, strumenti umanizzati, talvolta quasi surreali, talaltra addirittura segnaletici: tutto un universo formale – sempre vivac cromaticamente ma anche ironico e dissacratorio.
Molto soesso in alcuni di questi “originali – digitali – multimediali” (ODM) ci è dato di poter mettere a confronto alcune opere risalenti agli anni sessanta, quando Volpini si valeva co straordinaria maestria dell tecniche incisorie, dell’acquaforte, ecc. e l’epoca attuale dove spesso gli antichi documenti della sua perizia artigianale rivivono, ma solo meccanicamente (o elettronicamente), ma anche ora “artigianalmente” elaborati. Ed è, appunto, quello che ben pochi artisti moderni sono in grado di compiere, travolti come sono dalla “volonta’” inumana del computer.
Non si dimentichi, infatti, che Volpini – a dfferenza di molti artisti coevi – ha sempre affrontato il problema della tecnica per adattarlo ai suoi fini, e mai per lasciarsene dominare; ed è questo che gli ha permesso di passare incolume attraverso le lusinghe dell’informale (presente solo in alcune delle sue opere piu’ giovanili), della pop art (che ha contagiato tanti artisti degli anni sessanta – settanta) e che in lui ha lasciato solo scarse traccie sempre molto lontane dai modelli statunitensi, mantenendo intatte alcune costanti – in apparenza estrinseche, in realta’ molto intime – del suo temperamento, a un tempo favolistico e analizzatore. Il mondo della macchina, da un lato, le estrapolazioni corporee dall’altro; il racconto minuzioso, ma sempre la volonta’ da far prevalere la realta’ pittorica e grafica su quella annedottica, dove sia dominante il rapporto raffinato dei diversi frammenti costitutivi che gli ha permesso di raggiungere quella unitarieta’ “stilistica” che l’apparente dispersione dei segni e delle immagini poteva ostacolare.
Non posso, purtroppo, dilungarmi nel citare tutti quanti i “giochi artistici” di Volpini: cartoni variopinti, objects trouvées, frammenti minuscoli di meccanismi privi di ogni funzione (salvo quella “estetica”), sovrapposizioni di lavori astratti a costruire nuove inedite “entita’”; interi album (come l’attuale, posto a confronto a quello degli anni ’60). Quello che piu’ stupisce: la “attualizzazione” e il perfezionamento di lavori risalenti agli anni sassanta e sattenta rimassi in circolazione senza che denuncino segni di usura o di inattualita’. Credo, infatti, che una delle ragioniper cui queste importani e meravigliose opere appaiano tuttora vitali e dense di nuovi spunti, sia dovuta a un fatto: Volpini ha seguito man mano, con le sue produzioni e anche con la sua attivita’ di “maestro dell’incisione”, le diverse correnti delle avanguardie “storiche” quali si sono venute svolgendo dalla meta’ del secolo scorso; ma l’ha fatto in piena autonomia. Per questa ragione, a differenza di quanto accaduto per la maggior parte dei suoi “colleghi coevi”, non si è verificata mai, una sua adesione alle varie tendenze e ai vari raggruppamenti fioriti dal dopoguerra in poi: “spaziali”, “nucleari”, “pop art”, “concettuali”, ecc. Volpini è stato vicino a molti di questi artisti ma non è stato mai un vero e proprio “compagno di strada” di nessuno di loro.
E questo l’ha protetto dal conformismo dilagante e dalle pericolose alleanze. Questa sua autonomia l’ha in certo senso salvato da quella usura ed entropia che ha colpito molte di queste tendenze; e, se da un lato lo ha tenuto lontano da certi effimeri trionfi,dall’altro gli ha concesso un posto a se stante nella complessa e spesso ingarbugliata compagine artistica del nostro tempo.